lunedì 1 agosto 2011

MCdA: Giovanni Termini

Non ho certezze ma sospetti... Io e Giovanni Termini
Tempospaziazione. Diventa materia plastica. Pro-getto imperfetto. Il lavoro di Giovanni Termini inventa ermeneuticamente lo spazio attraverso un gesto ossimorico e sintetico, architetta strategie processuali di relazione da opera aperta. Non chiude discorsi, chiede presenza, interazione, dialettica. Chiede tutta la fragilità, tutte le possibilità, tutti gli equilibri squilibrati, manipiedimovimentoricordopassaggio. Chiede di farsi cantiere, di smontarsi e assemblarsi diversi, altrove. Non solo ora non solo qui. Dentro e fuori uno spazio che sa contenere il tempo e un tempo che sa contenere lo spazio della mente. E farsi ostacolo, recinto, poi apertura, relazione, labor.

Il mio discorso con Giovanni Termini, avviene per frammenti, per silenzi, per incontri mancati poi riusciti; mi si da come una voce, un altrove, uno spazio bianco, una sospensione, una sintesi. Essenziale e imprevedibile, come uno che sta progettandosi, che ha sempre lavori in corso. Mi suggerisce alcune parole e da quelle inizio il nostro percorso di avvicinamento alla sua ricerca artistica.



CANTIERE
Simonetta, La mia area semantica: tempo, progetto, processo, possibilità, mutamento, impedimento, spazio del fare, lavoro, gestione, energia concretizzata, divenire
- Il cantiere è un qualsiasi posto di lavoro temporaneo e che, eventualmente, si sposti progressivamente come conseguenza della esecuzione del lavoro stesso. Generalmente vengono approntati con lo scopo di realizzare grossi progetti.
Giovanni, La tua area semantica: gesto seriale, materiale accatastato, architettare, zona limita tata, sovrastruttura

ASSEMBLAGGIO
Simonetta, La mia area semantica: azione, costruzione, smontaggio, cre-azione
Giovanni, La tua area semantica:…………………………………………………………………….

SPAZIO

Simonetta, La mia area semantica: dilatare, abitare, negare, aprire, impronta, coscienza, misurare, s-misurare


Giovanni, La tua area semantica: storia minima, non misurabilità



Giovanni, per una chiusura aperta del nostro dialogo, lasciami una frase che dia titolo al nostro tentativo di dilatazione delle percezione, al nostro ragionare per parole-chiave, a rendere conto di un progettare che diventa fare:
Non un fare estetica ma una estetica in divenire.
Non ho certezze ma sospetti.

Perché, Giovanni, hai bisogno dell’arte? Dell’arte ho bisogno perché non saprei esprimermi diversamente


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